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  • Il Pianismo di Chopin

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    François-Joseph FÉTIS:

       “Il signor Chopin ha fatto ascoltare, nel concerto che ha dato il 26 [sic] di questo mese nei saloni dei signori Pleyel e Co. un concerto [op.11] che ha provocato tanto stupore quanto piacere nel suo uditorio (…) Il suo modo di suonare è elegante, spontaneo, aggraziato, ha brillantezza e pulizia.”

    (Revue musicale VI/5, 3 marzo 1832) 

    H.T. POISSON:

        “Ben presto è venuta fuori in Chopin la sapiente scuola pianistica tedesca, a cui è del tutto estraneo quel metodo francese che ha il difetto di picchiare i tasti. (…) L’impronta specifica che lo distingue, poiché ogni artista ha la sua, è la delicatezza squisita del tocco e la stupefacente vibrazione che riesce a conferire alle note. Ti fa quasi credere che il pianoforte abbia la facoltà di tenere i suoni, o di espanderli. Senza ricorrere a capricci estranei all’arte e a quel pomposo ciarlatanismo che ha il solo merito di crearsi ed esibire a comando difficoltà straordinarie, ma senza peraltro temerle, visto che di difficoltà la sua musica è irta, il suo grande merito è soprattutto l’arte di farle sparire. Certuni parevano stupirsi ‘delle pause’ che separavano le sue frasi e, se gli avessero dato un po’ meno credito, gli avrebbero rimproverato di non tenere il ritmo. A noi pare che costoro non si siano ancora del tutto familiarizzati con quel genere moderno di cui solo più avanti apprezzeranno il merito.”

    (“Concert”, Journal Politique et Littéraire d’Inre et Loire, n°126, 8 settembre 1833, p.3)

    H.BERLIOZ: 

       “Chopin è un artista a parte sia come esecutore sia come compositore; non somiglia a nessun altro musicista di mia conoscenza. Le sue melodie, tutte impregnate di forme polacche, hanno qualcosa di candidamente selvaggio che affascina e cattura proprio per la sua stranezza; nei suoi studi si trovano combinazioni armoniche di una profondità stupefacente; ha immaginato una sorta di ricamo cromatico, riproposto in parecchie sue composizioni, il cui effetto non si può descrivere tanto è singolare e penetrante. Purtroppo Chopin è l’unico a poter suonare la sua musica, a saperle conferire quell’originalità, quell’imprevedibilità che è una delle sue attrattive principali; la sua esecuzione è intessuta di mille sfumature di tempo di cui lui solo possiede il segreto e per le quali non c’è notazione. 

    Ci sono dettagli incredibili nelle sue mazurche; e ha anche trovato il modo di renderle doppiamente interessanti eseguendole con un grado estremo di dolcezza, con un ‘piano’ superlativo, nel quale i martelletti sfiorano appena le corde, al punto che si è tentati di avvicinarsi allo strumento e di porgere l’orecchio come si farebbe a un concerto di silfidi e folletti.”

    (Le Rénovateur, II/345, 15 dicembre 1833)

    August KAHLERT: 

         “Il suo modo di suonare è l’opposto di ogni tipo di pesantezza; si basa, al contrario, sulla più grande indipendenza reciproca delle dita e sul tocco più leggero che si possa immaginare. (…) Il suo suono non è grande sotto il profilo della quantità ma è eccellente per la qualità. Scartando ogni sonorità stridula e aspra (cosa a cui, in linea generale, il pianoforte è facilmente esposto) egli conserva un meraviglioso ‘cantabile’ perfino nei passaggi più fugaci; questo si avverte particolarmente negli ‘staccati’ e negli arpeggi più difficili. Ora, quel che si chiede qui all’esecutore [studi op.10] non può essere ottenuto se non quando si sia acquisita un’intima dimestichezza con la diteggiatura di Chopin. In particolare, terzo, quarto e quinto dito della destra sono sviluppati in modo stupefacente, a un grado di autonomia tale da consentire a una mano sola di suonare scale cromatiche di seste, sia ascendenti che discendenti, e nel tempo più rapido. Grazie alla rapidità e alla sicurezza dei suoi salti, sempre in leggerezza, e dei suoi ampi arpeggi, Chopin rimedia mirabilmente alle carenze in fatto di ‘cantabile’ proprie del pianoforte. (…) Per il resto, il pianismo di Chopin è imparentato, in una certa misura, col metodo di Clementi, che dev’esser stato la sua guida agli inizi (lo si avverte persino nelle più estreme difficoltà, inesplorate da Clementi).”

    (“Über Chopin’s Klavier-Kompositionen”, Der Gesellschafter oder Blätter für Geist und Herz, 1834/3, p.165)

    Anonimo:

        “…bisogna proprio salutare in Chopin un maestro raro: esegue tutto questo [i suoi notturni op.9?, op.15? e alcuni studi] in modo da conquistare appieno la nostra ammirazione. Il suo modo di suonare è perfetto sotto ogni aspetto. C’è tutto: il suono, la potenza, la grazia infinita, la passione, la profondità dei sentimenti, la pulizia e la leggerezza di un’esecuzione che non lascia niente a desiderare e, cosa delle più notevoli, l’originalità nell’interpretazione delle sue opere, esse stesse originali per molti riguardi.”

    (“Briefe aus Paris”, Neue Leipziger Zeitschrift für Musik I/15-16, 22 e 26 maggio 1834, pp.60 e 64)

    Émile GAILLARD (allievo): 

        “Percuotere non è suonare… Chopin non pestava il suo pianoforte, ma sotto le sue dita ogni cosa riusciva mirabilmente. Quando la mano sinistra suonava un bel canto sgorgato dal cuore, avresti detto che la destra srotolava negligentemente tutta la magnificenza di un merletto sonoro. Il virtuosismo spariva dietro l’espressione delle emozioni e si era più commossi che abbagliati. Lui sembrava accarezzasse la tastiera, mentre la sua anima, sensibile e dolorosa, s’innalzava e aleggiava fra noi. Quando terminava un notturno, si aveva voglia solo di tacere per non turbare l’incantamento da cui si era presi. Anche lui, finito un pezzo, spesso restava in silenzio davanti al pianoforte, come seguendo un sogno interiore.”

    (DÉCHELETTE, Journal des Débats, 28 dicembre 1934)

    Anonimo: 

        “La categoria dei pianisti sicuramente presenta ecezioni; in particolare citeremo il signor Chopin, che preferisce il pensiero al ‘tour de force’, e che nelle sue composizioni, come nello stile esecutivo, si distingue sia per una correttezza di disegno che non ha niente di povero, niente di angusto o di troppo prevedibile, sia per un’originalità senza pretese, un ardimento senza esagerazioni, una brillantezza senza orpelli, un’energia senza violenza, e un’espressione sempre chiara, sempre sensata e davvero coinvolgente. Il signor Chopin è riuscito a cantare col pianoforte, che è il merito più raro nella specie dei pianisti; è riuscito soprattutto ad ammorbidire i suoni dello strumento in modo da togliergli un po’ di quel che hanno di secco e di slegato.”

    (Le Pianiste, II/15, 5 giugno 1835)

    C.WIECK: 

       “Chopin…Ha anche suonato un suo notturno, col ‘pianissimo’ più delicato, ma un po’ troppo liberamente”

    (Tagebuch, Leipzig, 27 settembre 1835)

    F.MENDELSSOHN: 

       “Chopin…mi ha di nuovo incantato…Nel suo modo di suonare c’è un’originalità radicale unita a una tale padronanza che egli merita davvero il nome di perfetto virtuoso.” (Lettera alla famiglia, Leipzig, 6 ottobre 1835)

    R.SCHUMANN: 

        “Era già un quadro indimenticabile vederlo seduto al pianoforte, come un veggente perduto nei suoi sogni; vedere come il sogno da lui creato si traduceva nella sua esecuzione e come, finito ogni pezzo, avesse la funesta abitudine di percorrere con un dito tutta la tastiera gemente (‘glissando’) come per liberarsi potentemente dal suo sogno.” (GS,II, p.23)

    Henriette VOIGT: 

       “Meravigliosa è la leggerezza con la quale le sue dita di velluto scivolano o piuttosto volano – dovrei dire – sui tasti. Mi ha rapita, non posso negarlo, in un modo che mi era ancora sconosciuto fino a oggi. Quel che mi ha affascinato è l’abbandono e la naturalezza trasmesse dal suo atteggiamento, così come dalla sua maniera di suonare.”

    (Diario – Leipzig, 13 settembre 1836/NIECKS,I, p323 – ed.ted.)

    Ferdinand HILLER: 

        “Nessuno ha mai animato i tasti di un pianoforte in quel modo; nessuno ha saputo estrarne le stesse sonorità, ricche di infinite sfumature. Nelle sue melodie, la fermezza ritmica si coniugava con la libertà della declamazione, di modo che sembravano nascere lì sul momento. Quello che per un altro era un elegante ornamento faceva nelle sue mani l’effetto di un trionfo floreale multicolore; ciò che per un altro era destrezza tecnica, in lui sembrava il volo di una rondine. (…) Perfino la mancanza di quella potenza sonora capace di imporsi, propria di Liszt, Thalberg e altri, veniva avvertita come elemento di fascino” (BU, pp.150-152)

    Charles HALLÉ: 

       “Le composizioni di Chopin suonate da Chopin! Che gioia insuperabile! (…) Mentre Chopin suonava, io non riuscivo a pensare a nient’altro che elfi e danze di fate, talmente meravigliosa è l’impressione che si sprigiona dalle sue composizioni. Nulla in questa musica ricorda che è stato un essere umano a comporla. Sembra scesa dal cielo, così pura, trasparente e ideale.” (Lettera ai genitori – Parigi, 2 dicembre 1836/HALLÉ, pp.224-225)

        “Il fascino meraviglioso, la poesia, l’originalità, la perfetta libertà e l’assoluta trasparenza del suono di Chopin a quell’epoca sono indescrivibili. Era la perfezione personificata. (…) Posso affermare in coscienza che nessuno è mai stato capace di eseguire le sue opere così come suonavano sotto le sue magiche dita. Quando l’ascoltavi, perdevi ogni capacità di analisi; non pensavi neppure un istante a valutare il grado di perfezione nell’esecuzione di questa o quell’altra difficoltà; mentre lo ascoltavi ricevevi tale e quale l’impressione che stesse improvvisando una poesia, e restavi sotto l’incantesimo per tutto il tempo che durava.”

    (Autobiografia [verso il 1894-1895?]/HALLÉ, pp.31-4)

    Iganz MOSCHELES: 

        “Il suo suonare ‘ad libitum’, che negli altri inteprreti della sua musica degenera in una scomparsa della battuta, in lui non è altro che il tratto più grazioso e originale del discorso musicale. Le modulazioni apparentemente brutali sulle quali inciampo quando suono le sue composizioni, sotto le sue dita delicate non mi turbano più perché lui ci scivola sopra come una silfide. Il suo ‘piano’ si effonde così simile a un respiro che non c’è bisogno di un ‘forte’ potente per produrre i contrasti voluti; così non si rimpiangono gli effetti orchestrali che la scuola tedesca richiede a un pianista, ma ci si lascia intrattenere come da un cantante che, poco preoccupato dell’accompagnamento, è tutto preso a seguire il suo sentimento. Insomma, è unico nel mondo dei pianisti.”

    (Lettera – Parigi, metà ottobre 1839/MOSCHELES,II, p.39)

    Otto GOLDSCHMIDT: 

       “Era estremamente debole, ma, grazie a quella notevole capacità tutta sua di graduare il tocco, il suo modo di suonare non tradiva ancora l’impressione di fragilità fisica che alcuni han ravvisato nel suo ‘piano’ o nella delicatezza delle sue esecuzioni. Possedeva, più di qualsiasi altro pianista che io abbia ascoltato, la facoltà di passare dal ‘piano’ a una dinamica superiore attraversando tutte le gradazioni intermedie.”  

    (OSBORNE, pp.102-3)

    Antoine MARMONTEL: 

        “Ho ascoltato Chopin fin dal primo anno del suo soggiorno a Parigi, e le sue esecuzioni avevano già un fascino squisito, una sensibilità naturale, una sonorità soave, tenue, dovuta essenzialmente alla delicatezza del tocco e all’impiego tutto peculiare dei pedali. Alle sue qualità innate, legate alla natura nervosa, impressionabile, sensibile di Chopin, si aggiungevano anche quelle che erano frutto dello studio e della riflessione. La nota caratteristica e assolutamente personale del suo stile di compositore e di virtuoso era una sensibilità squisita e morbida, una disinvoltura piena di grazia e di abbandono, effetti imprevisti, come di impressioni istantanee, il fascino poetico dell’ispirazione unita alla perfezione ideale di esecuzione. (HP, pp.254-5)

        Per quanto riguarda l’uguaglianza delle dita, la delicatezza del tocco, l’indipendenza perfetta delle due mani, Chopin discendeva evidentemente dalla scuola di Clementi, maestro di cui ha sempre raccomandato e apprezzato gli eccellenti studi. Ma Chopin era assolutamente unico nell’arte meravigliosa di guidare e modulare il suono, nella maniera espressiva, melanconica di sfumarlo. Aveva un modo tutto personale di attaccare il tasto, un tocco agile, vellutato, degli effetti di sonorità di una fluidità vaporosa di cui lui solo conosceva il segreto. 

        Nessun pianista prima di lui aveva impiegato i pedali, alternativamente o insieme, con tanta discrezione e abilità. Nella maggior parte dei virtuosi moderni, l’uso smodato e permanente dei pedali è un difetto enorme, un effetto sonoro che per orecchie delicate risulta faticoso e snervante. Chopin, al contrario, servendosi continuamente del pedale otteneva armonie incantevoli e mormorii melodici che stupivano e affascinavano. Poeta meraviglioso del pianoforte, aveva una maniera di comprendere, di sentire e di esprimere il suo pensiero che si è cercato spesso di imitare senza realizzare, salvo rare eccezioni, altro che maldestre parodie.

        Se cerchiamo un punto di confronto fra gli effetti di sonorità di Chopin e certe tecniche della pittura, potremmo dire che questo grande virtuoso modulava il suono come i pittori i più abili trattano la luce e l’atmosfera. Avvolgere le frasi cantabili e gli ingegnosi passaggi arabescati in un chiaroscuro che sta tra sogno e realtà è il massimo dell’arte, ed era l’arte di Chopin.” (PC, pp.4-5)

    Léon ESCUDIER: 

        “Poeta e, prima di tutto, poeta tenero, Chopin si adopera affinché sia la poesia a predominare. Egli crea prodigiose difficoltà di esecuzione, ma mai a detrimento della melodia, che è sempre semplice e originale. Seguite le mani del pianista, e osservate con quale meravigliosa facilità esegue i passaggi più graziosi, copre le distanze della tastiera, passa dal ‘piano’ al ‘forte’ e poi dal ‘forte’ al ‘piano’! I magnifici strumenti del signor Pleyel si prestano meravigliosamente a questi diversi procedimenti. Ascoltando tutti questi suoni, queste sfumature che si susseguono, si intrecciano, si separano, si riuniscono per arrivare a uno stesso obiettivo, la melodia, non vi sembra di udire delle vocine di fate che sospirano sotto campane d’argento, o una pioggia di perle che cadono su un piano di cristallo?”

    (La France musicale V/9, 27 febbraio 1842)

    Elizavieta CHEREMIETIEFF (allieva):

        “Non so più come descrivere il suo modo di suonare. E’ qualcosa di così speciale che sotto le sue dita non riconosci più neppure lo strumento. Finalmente ho trovato uno che suona come qualche volta mi sono immaginata che si dovrebbe suonare, ossia alla perfezione; ha saputo dare un’anima al pianoforte. Questa delicatezza è qualcosa di così arioso, così traspirante, e allo stesso tempo i suoi suoni sono così pieni, così ampi. Ascoltandolo ti ritrovi in uno spazio indefinito, sospesa fra cielo e terra: è il modo in cui esprime i suoi pensieri. E’ veramente sublime; ogni nota ha un valore, un’idea che lui sa rendere benissimo. Nessuno degli elogi che si potrebbe rivolgergli sarebbe esagerato, ve l’assicuro. Si vede bene che lui sente tutto ciò che fa dire alla tastiera, si capisce. E’ un genio di gran lunga al di sopra di tutti i pianisti che stordiscono e alla lunga stancano. Lui può suonare tutto il giorno senza che vivenga in mente di dirgli basta; ogni suono va diritto al cuore. Quanto mi dispiace che non possiate ascoltarlo! (…) Ha suonato due notturni che ci hanno fatto quasi trattenere il respiro; qualcuno ha anche pianto. (…) Io trovo che suonare le sue composizioni è una profanazione; nessuno le capisce. Lui qualche volta non le suona neppure [?] a tempo, ma segue la sua ispirazione, e allora è davvero bello.”

    (Lettera alla madre – Parigi, 11 novembre 1842)

    George HOGARTH: 

       “Il signor Chopin…sembra abbandonarsi agli impulsi della sua fantasia e del suo sentimento, lasciarsi andare ai sogni e liberare, come inconsapevolmente, i pensieri e le emozioni che gli attraversano lo spirito (…).

        Egli padroneggia difficoltà enormi, ma con tanta calma, tanta instancabile dolcezza, con una delicatezza e una finezza così costanti che l’ascoltatore non si rende conto del vero ordine di grandezza di quelle difficoltà. La sua esecuzione si segnala per questa delicatezza squisita, per la morbidezza limpida della sonorità, la rotondità perlata dei passaggi rapidamente articolati, mentre la sua musica si distingue per una libertà di pensiero, una varietà di espressione e una specie di malinconia romantica che sembra essere la predisposizione naturale del temperamento dell’artista.”

    (Daily News, 10 luglio 1848,/HEDLEY,C, p.107)

    Anonimo: 

        “Le esecuzioni del signor Chopin appartengono al genere più raffinato; la delicatezza della sua sonorità e la leggerezza dei suoi passaggi sono impareggiabili. Incantano l’orecchio, abituato alle percussioni della scuola moderna. (…) al contrario di tutti gli altri esecutori, che tentano di uniformare la forza delle dita, il signor Chopin mira a utilizzarle [secondo la loro conformazione naturale]. Da questo principio discendono il suo modo di trattare le scale e il trillo, come pure il suo modo di scivolare da un tasto all’altro con lo stesso dito e di passare il quarto sopra il quinto.”

    (“Mr.Chopin’s Soirée Musicale”, Edinburgh Advertiser, 6 ottobre 1848)

    Barone di Trémont:

        “Abbandonato alla sua ispirazione, Chopin non arretra di fronte a nessuna ‘complicazione’ di armonia, di tecnica o di diteggiatura, e molti passaggi perfettamente chiari sotto le sue mani, suonati da altri pianisti risultano confusi e ingarbugliati. Dunque solo degli sprovveduti potranno ‘credere’ di far ascoltare la sua musica meravigliosa, mentre una parte delle sue bellezze non sarà percepita. Se non si hanno le dita molto lunghe e sottili bisogna rinunciarci, perché si incontrano fino a intervalli di dodicesima; altrettanto difficile è suonare spesso molto ‘legato’. Anche gli arpeggi sono molto brillanti.”

    (1849) (F.Chopin, Célèbre/pianiste et compositeur, pp.115 e 117-8, da una annotazione autografa)

    Georges MATHIAS (allievo):

        “…chi ha ascoltato Chopin può ben dire di non aver mai più sentito nulla di paragonabile. Il suo modo di suonare era come la sua musica; e che virtuosismo! che potenza! Sì, potenza! Solo che durava al massimo poche battute; e l’esaltazione, e l’ispirazione! Tutto l’uomo vibrava! Il pianoforte si animava della vita più intensa, era così meraviglioso che dava i brividi. Continuo a ripetere che lo strumento che si udiva quando suonava Chopin non è mai esistito se non sotto le sue dita: suonava come componeva…” (P, p.5)

    Wilhelm VON LENZ (allievo):

        “…come suonava Chopin l’op.26 di Beethoven? (…) Era un mormorio a ‘mezza voce’, ma impareggiabile nella melodia, con una perfezione infinita nella continuità e nel concatenamento delle frasi: idealmente una bella esecuzione, ma ‘femminile’! (…) Tutti son rimasti incantati; anch’io restai incantato, ma solo dalla sonorità di Chopin, dal suo tocco, dal fascino elegante e dalla grazia, dalla purezza dello stile.”

    (GVP 1872, pp.77-8)

    Anonima scozzese (allieva):

       “Sotto le sue dita il pianoforte ‘cantava’ per davvero, e in tante maniere. (…) Non si pensava mai all’ ‘esecuzione’, ancorché fosse prodigiosa. La musica sembrava provenire dagli abissi di un cuore per parlare al cuore degli ascoltatori.” (Lettera a J.C.Hadden – 27 marzo 1903/HADDEN, p.159)

         “Poi Chopin prese il mio posto ed eseguì la sonata [op.26] dal principio alla fine. Fu come una rivelazione. (…) Suonò la Marcia funebre con un effetto grandioso, orchestrale, potentemente drammatico, e tuttavia con una specie di emozione rattenuta impossibile da descrivere. Poi si lanciò nel finale con una precisione impeccabile e una straordinaria delicatezza (non una sola nota è andata persa), con un fraseggio meraviglioso e alternanze di ombre e di luce. Noi restammo muti, non avevamo mai inteso nulla di simile.”

    (Lettera a J.C.Hadden – 27 marzo 1903/HADDEN, pp.157-8)

    Sophie LEO:

         “Chi non ha ascoltato le composizioni di Chopin suonate da lui non immaginerà mai come la più pura ispirazione, senza alcun riguardo per tradizione, approvazione o biasimo, si lasci trasportare sulle ali del genio. (…) La sua persona era delicata, aggraziata, delle più affascinanti; l’uomo completo non era che respiro, un essere più spirituale che corporeo e, come la sua maniera di suonare, pura armonia. Anche il suo modo di parlare somigliava alla sua arte: dolce, arioso, come un mormorio (‘weich, schwebend, rauschend’). Di padre francese e madre polacca, assommava in sé le inflessioni latine e slave nel più puro accordo. Il pianoforte sembrava che lo toccasse appena! Veniva da pensare che avrebbe potuto giungere allo stesso risultato anche senza l’intermediario dello strumento. Quando suonava non si pensava più alla tecnica, si ascoltava il mormorio flautato [della sua musica] e si immaginava di udire delle arpe eoliche mosse dal soffio etereo dell’atmosfera. E con questo talento unico, Chopin era cortese, modesto, senza alcuna pretesa! Non era un pianista della scuola moderna; si era creato la sua arte tutto da solo in base alla sua visione, ed era qualcosa di indescrivibile.

        Nei salotti come nelle sale da concerto avanzava lentamente, modestamente verso il piano, si accontentava del primo seggiolino che capitava, segnalando immediatamente, con la semplicità del suo abbigliamento e la naturalezza del suo contegno, quanto gli fosse estranea ogni forma di esibizionismo, ogni ciarlataneria. Senza alcun preambolo, partiva subito la sua esecuzione, piena di passione e profondamente sentita.”

    (Erinnerungen aus Paris, pp.192-5)

    Solange CLÉSINGER (figlia di Georges Sand e di Casimir Dudevant):

       “Sotto le dita agili e nervose della piccola mano pallida e gracile di Chopin il pianoforte diveniva una voce d’arcangelo, un’orchestra, un esercito, un oceano infuriato, la creazione dell’universo, la fine del mondo. Che maestà divina!…”

    Aurore LAUTH-SAND (figlia maggiore di Maurice Sand-Dudevant e nipote di Georges Sand):

       “…A Nohant le due ragazze della casa, Solange e Augustine, prendevano lezioni da Chopin. (…) Augustine voleva diventare abbastanza brava da diventare una professionista. Dunque, negli anni che Chopin passò a Nohant fu un’allieva attenta e seria. Quando la incontrai, verso la fine della sua vita, mi disse: “Il maestro aveva un tocco diverso da chiunque altro. Quale che fosse lo strumento, lui ne cavava suoni che non sembravano provenire da un pianoforte. Il suo modo di suonare era morbido, come ‘velato’, e così delicato che alcune note risuonavano come ‘sospirate’. Gli accordi non esplodevano mai con fragore; risultavano dolci malgrado una forza che si percepiva dalla loro risonanza. Sotto le sue piccole mani, piuttosto corte e nervose, il pianoforte raggiungeva un grado d’espressività del tutto differente da quello che normalmente ottiene qualunque altro esecutore. E’ inutile cercar di confrontare il suo modo di suonare con quello di un altro pianista. E se si volesse, non dico imitarlo, ma cercare di entrare nel suo modo di suonare, bisognerebbe tentare di ‘esprimere’ la sua musica con una delicatezza che non abbia nulla di melenso, ma che somigli a un’espressione che trascende lo strumento e di cui lo strumento sia l’inteprete discreto e obbediente.”

    (Chopin à Nohant. – Debuts du théâtre de Georges Sand)

    Julian FONTANA:

        “Fin dalla più tenera età la ricchezza delle sue improvvisazioni era stupefacente. Ma lui si guardava bene dall’esibirla; i pochi eletti che l’hanno ascoltato improvvisare per ore e ore, nella maniera più meravigliosa, senza che mai neppure una frase richiamasse alla memoria un altro compositore, e tantomeno una delle sue stesse opere, concorderanno con noi se affermiamo che le sue più belle composizioni non sono che un riflesso, un’eco della sua improvvisazione.”

    (Prefazione alle “Oeuvres posthumes de F.C.”, pp.1-2)

    Conte Rainulphe II d’Osmond:

       “Ogni nota in Chopin ha un valore speciale e dev’essere resa con una differenza di intensità che nessuno rispetta più. Dove lui suonava lentamente, ora si va veloci, dove lui accellerava, ora si rallenta… Cagionevole, nervoso, fragile e idealista all’eccesso, Chopin ha sempre cercato di sfuggire il più possibile alla morsa matematica… che l’implacabile divisione in battute infligge alla musica. La sua opera, innanzi tutto, è basata sul ‘lasciar fluire’ le sensazioni dell’anima. L’imprevisto, la fantasticheria sono state le sue guide… e per suonarlo bisogna accettare prima di tutto questi coefficienti. Facendo del pianoforte uno strumento di canto… ha saputo fargli realizzare delle sonorità fino allora sconosciute avvolgendole, con un’abilità senza pari che dobbiamo chiamare genio, con una pioggia di scale, arpeggi, enarmonie il cui intreccio, senza mai nuocere all’interesse della melodia principale, dava al suo Pleyel una vita… che chi non l’ha conosciuto non può neppure sospettare.”

    (“Chopin”, Reliques et impressions, pp.281-284)

    Karol MIKULI (allievo): 

    “…Chopin era in possesso di una tecnica tra le più avanzate, in grado di dominare completamente lo strumento. L’uguaglianza delle sue scale e dei passaggi rapidi era insuperabile, con ogni tipo di tocco, davvero favolosa. Sotto le sue dita, il pianoforte non aveva nulla da invidiare all’archetto del violino né alla colonna d’aria vibrante degli strumenti a fiato: i suoni si fondevano con le sfumature proprie dell’arte vocale più perfetta.

        Una mano da pianista nato, non tanto grande quanto straordinariamente elastica, gli permetteva di spezzare gli accordi più estesi e di dominare gli arpeggi più dilatati che proprio lui aveva introdotto nella scrittura pianistica con un’audacia mai vista prima; e tutto senza che fosse visibile il minimo sofrzo. Del resto, la felice libertà e la naturalezza erano le caratteristiche distintive del suo modo di suonare. Inoltre il suono che sapeva trarre dallo strumento aveva sempre una grande ampiezza, specialmente nel ‘cantabile’; tutt’al più, sotto questo aspetto, soltanto Field si poteva paragonare a lui.

        Poteva imporsi con una virile e nobile energia collocata nei punti giusti – energia senza brutalità – così come poteva incantare l’ascoltatore con la dolcezza del suo tocco espressivo – dolcezza senza affettazione. Con tutto il calore che Chopin metteva nel suo modo di suonare, così personale, ciò non impediva mai alla sua esecuzione di essere misurata, casta, elegante, talvolta perfino singolarmente riservata. (…)

         Nel tenere il tempo Chopin era inflessibile, e molti saranno sorpresi di sapere che il metronomo non mancava mai dal suo pianoforte. Anche nel suo ‘rubato’ di cui si parla tanto, una mano (quella che ha la parte dell’accompagnamento) continuava a suonare strettamente a tempo, mentre l’altra (quella che canta la melodia) liberava da ogni costrizione metrica l’essenza dell’espressione musicale, ora ritardando indecisa, ora anticipando, animata da una sorta di veemenza febbrile, come colui che si infervora nel parlare.

        Benché Chopin suonasse soprattutto composizioni sue, conosceva perfettamente a memoria (una memoria vasta quanto precisa) tutte le opere grandi e belle della letteratura pianistica; soprattutto Bach, ma è difficile dire se amasse di più Bach o Mozart. In questi autori la sua esecuzione raggiungeva una grandezza ineguagliabile. (…) Naturalmente anche Beethoven era vicino al suo cuore. Chopin suonava con una chiara predilezione le opere di Weber, in particolare il ‘Concertstück’ e le sonate in la bemolle maggiore e in mi minore; la fantasia, il settimino e i concerti di Hummel; il concerto in la bemolle maggiore e i notturni di Field, in cui improvvisava fioriture di grandissimo fascino. Quanto alla musica virtuosistica di ogni genere, che proprio a quell’epoca faceva ovunque spaventosi disastri, io non ne ho mai vista sul suo leggio.” (MIKULI, pp.2-3)

    [da: Chopin visto da chi l’ha ascoltato, in: Jean-Jaques Eigeldinger – “Chopin visto dai suoi allievi” – Casa Editrice Astrolabio, 2010 – titolo originale in francese: “Chopin vu par ses élèves” (Neuchâtel 1970 – Eng. trans.: “Chopin: pianist and teacher – as seen by his pupils”, CUP 1986)]

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